Francesca Calzà
Scopri i talenti di T.O.E. Art Market attraverso una serie di interviste esclusive con gli artisti presenti sulla nostra piattaforma.
Esploriamo insieme le pratiche e le ricerche artistiche portate avanti dagli autori che arricchiscono la nostra comunità con le loro opere uniche. Ogni settimana, vi invitiamo a conoscere meglio le sfide, i linguaggi, i temi e le storie che si celano dietro i loro lavori per entrare a contatto con le menti creative che fanno di T.O.E. Art Market una vetrina vivace e dinamica.
Siamo qui in compagnia di Daniele Cabri. Iniziamo subito con qualche domanda per conoscerlo meglio!
Francesca Calzà - Puoi raccontarci un po’ del tuo percorso artistico? Come ti sei avvicinato all’arte?
Daniele Cabri - Ricordo che, da bambino, vivevo e mi esprimevo attraverso il segno. La mia primissima emozione, sfolgorante e pervasiva come lava incandescente, fu quando mi regalarono il primo album da disegno. Sulla copertina e sul retro c'era l'immagine del piccolo Giotto che, mentre accudiva le pecore, tracciava sul terreno un cerchio perfetto. Fantasticai molto su quell'immagine. Su quei fogli, con un tratto incisivo e sicuro, disegnai il mondo che mi circondava: il mio paesino in collina, i campi arati dai trattori, i contadini intenti a rastrellare e zappare, gli animali al pascolo, le case e gli steccati.Quel segno, così sicuro e spontaneo, l'ho mantenuto fino ad oggi, fino ai miei ultimissimi lavori su pelli animali, che realizzo ancora. L'inizio come la fine.
Francesca Calzà - Quali sono stati gli incontri, i riferimenti culturali o i momenti che hanno avuto un forte impatto nello sviluppo della tua ricerca?
Daniele Cabri - Lo stretto contatto con un cugino, scultore di professione, con cui potevo parlare e da cui apprendevo lavorando come suo assistente, fu fondamentale per il mio avvicinamento all’arte. D’estate, inoltre, ospitavo come inquilino un pittore appassionato di dipingere en plein air, ispirandosi ai macchiaioli e agli impressionisti. Inizialmente, mi limitavo a osservarlo mentre lavorava, ma presto cominciai a fare pratica con lui, che mi insegnava come stendere il colore. Questi rapporti rappresentarono i miei primi contatti con la creatività. La vera svolta, tuttavia, arrivò quando partecipai ai seminari organizzati dal Comune di Modena, dove ebbi l’occasione di conoscere artisti come Massimo Kauffman, Paolo Icaro e Hidetoshi Nagasawa. A questo periodo seguì un breve percorso come cineasta, dopo il quale decisi di trasferirmi a Milano. Qui entrai in relazione con l’ambiente culturale della città, stringendo legami con artisti come Liuba e con curatori del calibro di Ivan Quaroni, Luca Panaro, Giuseppe Frangi, Martina Cavallarin, Erika Lacava e Maria Chiara Wang. Questi incontri furono un’occasione di grande insegnamento e confronto, un’esperienza che porto con me tutt’ora. La fase conclusiva di questo percorso si concretizzò con la mostra definitiva del mio lavoro sulle pelli, ospitata dalla galleria Studio Cenacchi di Bologna, e con la partecipazione alla residenza artistica Equidistanze a Filetto, in provincia di Ravenna, un’iniziativa voluta e organizzata da Alessandra Carini della Magazzeno Gallery.
Francesca Calzà - Esistono delle costanti nel tuo lavoro? Cosa ti spinge ad indagare questi argomenti?
Daniele Cabri - La mia costante è l’uomo in tutta la sua complessità esistenziale, le memorie e i conflitti interiori. Sono incatenato alla figurazione e, solo ora, inizio a sentire il bisogno di liberarmi. Amo narrare per immagini o sequenze. Sono alla costante ricerca di quell’unica immagina che risuoni per me come un’epifania.
Francesca Calzà - Come influiscono le tue radici culturali e le tue esperienze personali sulla tua pratica artistica? Puoi fornirci qualche esempio?
Daniele Cabri - Le mie radici hanno grande influenza, creano addirittura il segno, sono la cifra stilistica del mio lavoro. Se mi volto indietro mi sembra di vedere gli "stessi" segni che tracciavo da bambino. Grande importanza hanno anche le dottrine sciamaniche e la medicina alternativa, pratiche con cui sono entrato a contatto alla fine degli anni 90’ a seguito di un periodo di crisi personale. Questa relazione mi ha permesso di riscoprire parti di me che sono molto vicine al sentire degli antichi. Sono istintivo, mi muovo come un indigeno, sento e vivo per immagini che, come quando ero bambino, necessitano di emergere. Vi partecipo fisicamente. Partecipo, come faceva Ligabue, fisicamente alla elaborazione del lavoro. Negli ultimi anni la mia pratica muove della ricerca di un equilibrio tra fattori personali e condizioni collegate alla mia famiglia genealogica. Da questo intricato rapporto sono nate opere intrinsecamente legate all’esigenza di una salute psico-fisica, accompagnate da eventi perforativi che paragonerei a dei rituali ancestrali, sciamanici. Sono atti psichici e magici, simili a quelli che Aleandro Jodorowsky rappresenta nei suoi film o nei suoi rituali di guarigione, ma che affondano le loro radici nelle civiltà precristiane. Un esempio emblematico è La "Latebra", una grande capanna rivestita di pelli animali incise a fuoco, dove ho raffigurato tutto il mio villaggio: persone del mio vissuto, vivi e morti, animali e oggetti. La mostra fu inaugurata con una performance e si concluse con un ulteriore evento performativo entrambi concepiti come veri e propri rituali.
Francesca Calzà - Puoi condividere con noi qualche particolare del tuo processo creativo?
Daniele Cabri - Al momento, lavoro utilizzando il fuoco su pelli animali. Incido, scavo, brucio le pelli con una fiamma ossidrica restituendo un effetto simile alla sanguigna o al carboncino. Raffiguro le persone del mio villaggio che sta per scomparire. È una grande opera collettiva che serve mettere in atto un rito di salvataggio dei viventi mostrando il deteriorarsi del tempo e la finitezza degli uomini e di tutte le cose. Ho scelto di farlo attraverso il segno duro e puro del disegno perché così non ci sono distrazioni di sorta in chi osserva. Non c'è colore se non quello delle pelli, ocra e marrone scuro, il colore della terra stessa. Il disegno è l'inizio di tutto, ciò che l'uomo ha cercato di catturare per imprimerlo nella propria mente e nei sogni.
Francesca Calzà - Come nasce un’opera, parti sempre da un’idea predefinita?
Daniele Cabri - Di principio partivo solamente se avevo un’immagine prestabilita, nitida che nasceva direttamente nella mente. Ora che ho raggiunto i sessant’anni di età, spesso mi concedo al flusso creativo. Molte opere diventano installazioni durante il processo. Ora mi sento davvero libero. Finalmente certi limiti mentali si sono frantumati. Alcuni steccati mentali si sono finalmente frantumati. Al momento, per esigenze personali, non posso dedicarmi pienamente al lavoro sulle pelli né concedergli il tempo che vorrei. La mia creatività, però, si è spostata verso la scrittura memoriale. Spero di pubblicare presto un romanzo sul mio paese, un'opera che raccolga tutte le memorie ataviche di quel mondo, intrecciandole con la realtà attuale attraverso rimandi e connessioni.
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